Giorgio Macellari: considerazioni e riflessioni sullo sport delle bocce
Considerazioni e riflessioni sullo sport delle bocce
Le origini dei giochi e degli sport praticati con una o più sfere risalgono a molti secoli fa. Alcuni si sono evoluti lentamente attraverso i tempi: la pallacanestro (solo per fare un esempio) fu adattata da un gioco praticato dagli indiani della Florida e in base a questo reinventata alla fine del secolo scorso.
La palla – la sfera solida, la pelle gonfiata – risale a epoche preistoriche; si può infatti legittimamente pensare che le prime palle fossero, in realtà, pietre o ciottoli, scagliati come arma o per dar prova di abilità. È verosimile che l’uso della sfera nel gioco servisse come preparazione per la caccia, sia per la difesa che per l’attacco. Devono essere passati migliaia di anni prima che l’uomo scoprisse come smussare e levigare le pietre, trasformandole in sfere perfette; una pietra rotonda e ben levigata si impugna meglio di una che abbia invece forma irregolare e può essere scagliata più lontano. Quando cade, rotola e così meglio si presta ai giochi di abilità dove, più che la forza bruta, contano il controllo e l’intelligenza umana. Numerose civiltà, in diversi momenti storici, hanno attribuito qualità magiche alla forma sferica e agli sport ad essa connessi.
La sfera rappresenta il simbolo della perfezione: l’uomo ha teorizzato e spesso ribadito tale concetto.
Secondo Parmenide (il famoso filosofo), l’essere è finito e sferico. La realtà – così com’è, ferma in un presente atemporale, racchiusa in un luogo non spaziale, omogenea in ogni suo punto – non può che avere forma sferica: la forma della perfezione per eccellenza. Al di fuori di questa sfera non può esserci nulla, poiché tutto ciò che è s’identifica nella sfera stessa.
Anche nella teoria cosmologica di Empedocle è facile scorgere le influenze esercitate dal pensiero di Parmenide. Vi domina, infatti, la suggestione della sfericità: il cosmo intero si configura come una sfera.
Così pure per Aristotele: l'universo è formato da una serie di sfere concentriche. La forma sferica richiama alla mente dell’uomo quella del sole (sorgente inesauribile di luce e di calore, fonte di ogni forma di vita, cuore dell’organismo planetario), adorato come una divinità da molti popoli.
Il signor Sigmund Freud e i suoi numerosi amici avrebbero forse potuto presentarci una completa relazione in merito. Chi sa che qualcuno di loro non si sia esercitato almeno un po' nella pratica dello sport delle bocce, cercando di capirne il significato intrinseco...
È indubitabile che la realtà, anche quella sportiva, si esprima soprattutto coi simboli; la coscienza umana, minacciata dal potere della rimozione, risulta tuttavia assai poco propensa a cogliere il senso dei simboli stessi. Insomma, è giusto ritenere che i simboli costituiscono un mezzo con il quale l’inconscio guida la coscienza; però è importante capire come le osservazioni che seguiranno, relative allo sport boccistico, pur non avendo pretese di completezza né di assoluta esattezza, quanto a possibilità interpretative, dovrebbero stimolare l’approfondimento di alcune tematiche, di per sé già notevoli; infatti, lo sport delle bocce, in apparenza semplice, è estremamente complesso, almeno se lo si vuole analizzare con sufficiente precisione.
Chi lo pratica compie un’azione spontanea, entro certi limiti di spazio che risultano ben definiti, secondo regole assunte volontariamente, ma che impegnano in maniera assoluta. Accompagnate da un senso di tensione e di gioia al tempo stesso, tali regole determinano nei praticanti la coscienza di essere inseriti in una dimensione diversa rispetto alla vita ordinaria. Si tratta, quindi, di un’attività separata dalla vita normale; insita è, tuttavia, la coscienza di questa diversità.
Il fatto, poi, che lo sport boccistico si svolga entro spazi ben delimitati, per un comune accordo (peraltro indispensabile allo svolgimento del gioco) intercorso tra i praticanti, non significa nient’altro se non un’evasione dallo spazio reale; tant’è vero che uscire dall’area stabilita può comportare una penalità, costituendo inoltre un’indebita intrusione nella realtà della vita ordinaria, le cui leggi (o il cui disordine) vengono magicamente sospese durante lo svolgersi della competizione.
Il gioco delle bocce sembra ritrovare in se stesso la propria giustificazione; per separarsi e mantenere il distacco dalla realtà, abbisogna di leggi precise, irrevocabili nella loro arbitrarietà, che ne salvaguardino il corretto svolgimento. Sono leggi che si fondano su un’auto/restrizione codificata e sulla conseguente mutua volontà di rispettarle.
Va inoltre sottolineato che la precisione assoluta dei limiti di gioco, stabiliti dal regolamento tecnico, impedisce a sua volta l’intrusione della realtà entro i suoi confini, garantendo anche lo spazio e il tempo reali da un’invasione da parte dei meccanismi propri del gioco stesso.
Si tenga conto, poi, che un certo margine di variazione viene offerto allo sport boccistico dall’estrema incertezza del risultato finale, alla cui determinazione concorrono diversi fattori; il dubbio circa il raggiungimento di ogni risultato positivo deve rimanere fino al termine così da mantenere desto l’interesse dei giocatori e degli appassionati. Chi vince costantemente senza fatica non diverte nessuno, nemmeno se stesso.
Una parte del piacere suscitato dal gioco delle bocce risiede proprio nel fatto che, pur entro i limiti tracciati dalle regole, esso riserva uno spazio all’inventiva del giocatore: attraverso la fantasia, cioè, l’atleta muta le modalità del comportamento, messe in atto per porsi al riparo dalle costrizioni e dal caos della realtà; attraverso la sua inventiva, egli intraprende e reinterpreta un’attività sportiva che presenta al suo interno un ordine rigoroso, sì, ma anche comprensibile e dominabile.
Ecco che lo scopo diventa la soddisfazione, in una forma quasi allucinatoria, del bisogno di controllo: si consente al boccista di conciliare, nell’ambito della partita, ciò che nella realtà è (o potrebbe essere) inconciliabile.
L’atleta gareggia all’interno di una situazione che si potrebbe definire “protetta”, almeno dal punto di vista della codificazione delle regole, le quali, sebbene siano coercitive e precostituite, gli garantiscono una certa libertà di movimento che consiste, soprattutto, nella possibilità di scegliere il proprio ruolo e la propria strategia, a seconda delle personali doti caratteriali e tecniche.
La vita è già di per sé abbastanza difficile e complicata perché si debbano prendere in seria considerazione la lettura, il lavoro, lo studio, la riflessione o qualunque altra cosa, ivi compreso lo sport delle bocce. Ma i simboli non sono un’invenzione: essi esistono, appartengono all’inalienabile patrimonio dell'umanità. Occorre dunque tenerne conto, se è lecito affermare che i pensieri e le azioni dell'uomo, anche nel gioco, sono la conseguenza, a volte inevitabile, del processo inconscio di simbolizzazione. La vita è governata dai simboli. Solo l’esattezza della loro interpretazione può essere oggetto di discussione.
Lo sport boccistico non sfugge a queste regole.
Esso si tinge addirittura di un’impronta erotica quando si pensi ai termini “bacio” e “biberon”: essi stanno ad indicare la boccia che si trova a intimo contatto col pallino. Se si riflette sul possibile significato simbolico, la boccia che bacia o succhia non può essere nient’altro se non la manifestazione del genitale femminile che accoglie in sé, sotto forma di capezzolo, il pallino: cioè il membro maschile. C’è una chiara affinità simbolica, un’affinità stretta, fra l’atto del baciare e del succhiare (“biberon”) e il coito. In fondo, è lo stesso giocatore che spinge la boccia verso il pallino. Esso diventa la meta più ambita: un punto di arrivo e, nello stesso tempo, un punto di incontro; un polo catalizzatore, affascinante e, per certi versi, bizzarro; un dittatore con cui raramente viene a crearsi la possibilità di replica e di contraddittorio.
Risulta inoltre opportuno chiedersi se ogni atleta, nel momento stesso in cui sta effettuando l’accosto, non consideri la boccia alla stessa stregua di una figlia partorita dalle proprie mani.
D’altronde, tutti gli uomini, anche i più virili, vorrebbero poter partorire: lo ha ben spiegato Georg Groddeck (psicanalista rude e selvaggio, incisivo e fantasioso), il quale ha avuto per primo il coraggio di affermare che in ogni essere chiamato uomo è presente anche la donna e in ogni donna l’uomo. Secondo Groddeck, l’Es, quella strana entità da cui siamo vissuti, non rispetta affatto le differenze di sesso. Ecco allora che un giocatore maschio – i praticanti di questo sport sono per la maggior parte maschi – ha ugualmente la facoltà di partorire una boccia. Essa è il frutto ultimo di tutto il lavoro svolto fino a quel momento (la gestazione); è il fine per il quale l’atleta vive nel gioco lo straniamento della realtà ordinaria; rappresenta il costante sacrificio: il prodotto (il parto, appunto) della sua intelligenza applicata al gioco e in funzione di esso sviluppata al meglio.
Scrive, fra l’altro, lo stesso Groddeck: “I fili del discorso si aggrovigliano, ma il mondo intero è percorso da questi fili intricati. Solo la scienza e la mitica realtà oggettiva si presentano spesso attraverso l’immagine di un negozio di mercerie in cui si trovino, l’uno accanto all’altro, gomitoli accuratamente arrotolati; il campo di ogni ricerca, invece, è invaso da matasse il cui bandolo definitivo risulta talvolta irraggiungibile.”
Così è nel nostro caso. Perciò si può solo supporre (e non certo affermare con granitica certezza) che forse vale anche per le bocce quello che alcuni psicanalisti ritengono valido per altri sport: il giocatore, a cui nella gara viene concesso di affrontare e spesso liquidare conflitti in atto che nella vita reale non riesce a risolvere, può appagare desideri rimasti insoddisfatti. Ogni individuo che sia stato schiacciato da una situazione frustrante ha la possibilità di riaffrontarla con mezzi diversi e da una nuova posizione. L’ansia e il timore sono ridotti in quantità accettabile; a volte, anzi, si trasformano in sicurezza e padronanza di sé.
La boccia in movimento assurge addirittura a simbolo del destino che, a seconda delle personali convinzioni, può essere governato e governabile oppure già segnato o, quanto meno, tracciato. Il percorso compiuto dall’attrezzo, il suo cammino e la sua meta – il punto in cui si ferma più o meno vicino al pallino – possono essere determinati, in parte, dall’abilità del giocatore il quale, prima di effettuare l’accosto, prima cioè di “partorire”, pulisce la propria boccia, accarezzandola affettuosamente con uno straccio e rendendola pura dalle scorie materiali su di essa depositatesi in precedenza; in parte, invece, dipendono dalle peculiari caratteristiche della superficie del terreno di gioco.
Sul risultato finale dell’azione può influire un minimo di imponderabilità, ma il boccista vorrebbe poterla controllare; il desiderio suo più grande sarebbe quello di guidare l’attrezzo dopo il momento del lancio. I gesti e gli atteggiamenti dell’atleta sono rivolti a questa ipotetica manifestazione di superiorità: il piacere di controllare la boccia giocata si associa al piacere di verificare gli eventuali traumi proiettati in quel momento nella situazione agonistica. Ma il piacere dominante consiste, più che altro, nella sensazione di riuscire a controllare il destino stesso. Si tratta di una sensazione inebriante, certo non fatalista, che infonde a tratti esaltante sicurezza; si razionalizza l’assurdo, si assimila la realtà, comprendendola appieno, prevedendo e comandando gli avvenimenti, scoprendo il proprio ruolo. Il giocatore diventa l’attore protagonista. Egli ha la facoltà di scegliere. La competizione agonistica gli concede perfino il lusso di sostituire azioni finalizzate al raggiungimento di uno scopo reale con altre tese a un obbiettivo più che mai fittizio; le conseguenze (sportive) sono reali, ma su scala ridotta.
Né sembra azzardato ritenere che una delle massime aspirazioni del boccista è forse quella di ricostruire, nello svolgimento del gioco, un ordine cosmologico in cui le bocce siano paragonabili a pianeti che girano necessariamente attorno al sole-pallino, considerato il massimo valore positivo utile per raggiungere ogni personale perfezione. L’importante è che l’ordine ricostruito sia il proprio, non quello che l’avversario vorrebbe imporre e determinare con le sue giocate.
A questo proposito, potrebbe risultare pressoché superfluo analizzare l’aggressività espressa da ogni bocciatore nel momento in cui, con una giocata di volo o di raffa, intende colpire una boccia dell’avversario, allo scopo di allontanarla dal pallino. In realtà, egli vuole esercitare violenza nei confronti dell’avversario stesso. Il suo stato d’animo è caratterizzato da sentimenti di ostilità verso colui che è ormai considerato un vero e proprio nemico, al quale desidera arrecare qualsiasi tipo di danno. La raffata e/o la bocciata non sono dirette verso l’oggetto, ma appunto contro l’avversario. Non si può colpire direttamente l’avversario, come ad esempio nella boxe. Il boccista, invece, colpisce l’attrezzo, che è figlio dell’intelligenza e dell’abilità del suo avversario/nemico.
Ogni frustrazione – com’è noto – può portare a forme di aggressività. Ritenuta importante, non a torto, nel processo di adattamento di fronte a ogni nuova situazione, una certa aggressività significa talvolta (come nel nostro caso) un compenso ai sentimenti d’inferiorità patiti, pur se con differenti modalità e in diversa misura, da ogni singolo individuo. Nello sport boccistico, tale aggressività si manifesta spesso in modo piuttosto esplicito. Solo di tanto in tanto è allo stato di tendenza: in tal caso, la reazione aggressiva viene inibita per timore della vendetta da parte dell’altra persona e/o squadra. Proprio nella stretta di mano che i contendenti si scambiano al termine di ogni partita, non è azzardato ritenere che talvolta alberghino sentimenti, più o meno inconsci, d’intensa ostilità.
Sia nell’ambito della nostra società, ritenuta civile, che all’interno del mondo sportivo, dove s’intende ottemperare a precise regole di correttezza, non sono infatti ammesse brutali manifestazioni di aggressività, al punto che essa - come chiunque può notare - assume varie forme, andando incontro a parecchie trasformazioni che la rendono irriconoscibile.
Un saggio letterato scrisse una volta: “Tutto dipende da tutto: le cose sono legate insieme; non c'è niente che sia separato.”
Ciò vale anche per lo sport boccistico: in piena evoluzione, esso deve tenere conto dei molteplici fattori che modellano la sua stessa essenza, determinandone spesso importanti mutamenti: non solo ricreazione; non più riposante divertimento né mero e semplice esercizio fisico, sa e può diventare, almeno in qualche occasione, elemento utile e necessario per il trionfo umano sulle esigenze (anche le più aspre e pericolose) della vita.
Forse non è importante solo per questo; ma, sicuramente, è importante anche per questo.