Addio a Carlo Figini. Un'altra scheggia importante del "boccismo romantico" degli anni '60 e '70 se n'è volata via. Che le bocce fossero uno sport vero l'aveva dimostrato proprio lui, divenuto una sorta di precursore, già a partire dagli anni Sessanta, di un boccismo innovativo e moderno, basato sulla preparazione atletica e sull'affinamento della tecnica tramite allenamenti mirati, mai lasciati al caso.
Carlo - anzi, Carletto, come lo chiamavano gli amici più stretti - era nato più di 90 anni or sono a Voghera ma era originario di Godiasco, un paesino nella bassa fascia collinare del dolce Oltrepò Pavese.
Figini ha avuto la lungimiranza di intuire ben presto che lo sport boccistico avrebbe potuto consegnargli una vita migliore: con coraggio si è trasferito giovanissimo a Milano, dove ha trovato lavoro proprio grazie alle bocce. Non solo. È stato tra i primi a comprendere che il proprio talento, se pur immenso, non gli sarebbe bastato per competere ai massimi livelli: perciò sarebbe stato indispensabile coltivarlo con un duro sacrificio quotidiano e con applicazione. E così, il Carletto Figini, prima di andare al lavoro, ogni giorno s'imponeva una salutare corsetta; nel tardo pomeriggio, dopo aver eseguito una serie di esercizi fisici, si recava alla bocciofila Cimbali, o al bocciodromo comunale XXV Aprile, per effettuare le "ripetute" tecniche, specie nella bocciata, punto forte del campione.
Chi scrive lo ritiene uno dei più grandi volisti (forse il più grande) nella storia della nostra disciplina sportiva. Chi l’ha visto giocare non può scordarsi delle sue bocciate, effettuate con il braccio che si protendeva leggermente verso l’esterno come fosse l’arma di un predatore. Si allenava ogni giorno, proprio come un mezzofondista, ed era capace di far planare le proprie bocce su quelle avversarie in tutti i modi: o colpendole “a legno”, se necessario, oppure utilizzando la battuta sulla terra, magari per evitare rimpalli, o ancora, quando occorreva, colpendole appena in testa e addirittura poco oltre, magari per farle scorrere all’indietro: neanche un chirurgo avrebbe saputo essere più preciso. Uno stile ineguagliabile e composto, il suo, con una rincorsa di quattro passi e con il braccio destro, in chiusura, a disegnare un leggerissimo arco prima della gittata finale. Quattro titoli italiani e più di 300 vittorie in carriera. Un campione che - direbbe il sommo poeta Dante Alighieri - "par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare".
Figini ha scritto pagine bellissime del libro delle bocce. Sia individualmente che in coppia. Ha giocato insieme con tanti campioni. Con Renzo Gastaldi, a Voghera. Con Domenico Micca, per qualche tempo con la maglia dell’Astra e poi con i colori della Cimbali, uno dei templi delle bocce, nel rione Gratosoglio, alla periferia di Milano. Con Zola. Con Bruno Suardi, il famoso "Mister Millimetro". Con Merlini. Con "il Cina" Franchi, lodigiano, pure lui un campione di immenso valore. Giusto per citarne alcuni.
Adesso è il momento del dolore e del silenzio. Solo fra qualche tempo ci sarà spazio per i racconti di una meravigliosa carriera sportiva e per gli aneddoti, alcuni dei quali avevamo avuto la fortuna di condividere con lo stesso campione pochi mesi or sono, nella sua dimora godiaschese.
La parabola terrena di Carlo Figini si è conclusa; ma il suo nome rimarrà imperituro: una vera e propria leggenda nella storia del boccismo italico.