Perchè quando si parla o si scrive di arbitraggio lo si fa quasi sempre in termini negativi ? In tutti gli sport, bocce non escluse, chi fa applicare le regole è visto come un giudice su cui sfogare l'amarezza per una sconfitta. Nel boccismo non c'è moviola, non c'è VAR, e le insidie – compresi i simulatori e quelli abituati a protestare – sono assai ridotte, ma pure qui, come disse un vecchio Ct della nazionale di calcio “ Neppure lo spettatore è un uomo perfetto. Paga per fare lo spettatore e poi vuole fare l'arbitro “. Perchè non si inverte la rotta e si dà visibilità ad una categoria indispensabile ai fini di un atto sportivo ?
La scelta di iniziare a parlarne prende lo spunto dalla storia arbitrale di Bertino D'Incà, bellunese, settantanni il prossimo 22 di aprile.
“ Avevo iniziato a giocare a bocce all'età di quattordici anni – dice l'interessato – con il Bocce Club di Belluno. Arrivai anche alla categoria B. Poi , all'età di 25 anni, il comitato mi contattò perchè stava facendo un corso arbitrale e furono l'allora presidente Carlo Fontanile e il responsabile arbitri Ezio Caldar, a invogliarmi . Fu così che divenni arbitro provinciale “.
Pur continuando a giocare , D'Incà salì sul gradino regionale e nei primi anni 70 ebbe la soddisfazione della promozione al ruolo nazionale. “ Ricordo ancora l'esordio – aggiunge – come arbitro aggiunto in una gara nazionale a Pedavena. E qualche anno dopo la prima volta con la massima categoria, la Coppa Italia in casa della Quadrifoglio “.
Quelli che seguirono furono anni di paziente esperienza su tutti i campi, campionati di serie A compresi. Poi la chiamata tanto attesa, quella che per un giocatore corrisponde al vestire la maglia della Nazionale.
“ Sì, è quello il ricordo più bello della mia carriera – sottolinea D'Incà - , il momento in cui venni chiamato per partecipare al mondiale di Saluzzo nel '92, in veste di stagista. Stavo per diventare arbitro internazionale. Una gioa enorme “. Da lì le ali dell'arbitro bellunese si dispiegarono verso nuove avventure, nuove sfide in Italia e all'estero. E quando per contro cerchiamo di farci raccontare il momento più brutto – per un arbitro dovrebbe rientrare nella normalità del percorso – ci lascia di stucco. “ Mai avuti – risponde - , solo tante soddisfazioni, mai un problema con gli addetti ai lavori e il pubblico. Mai episodi di smacco, avvilimento, al termine di una gara “. In effetti, da vecchi diaconi della parrocchia boccistica, non ricordiamo di aver mai visto accostare il nome di Bertino D'Incà a momenti di spiacevole routine.
Sulle generazioni che stanno crescendo, l'arbitro bellunese è assai esigente, anche se favorevole nei confronti di quei giovani che intendono intraprendere la sua carriera.
“ Innanzitutto – tiene a precisare – a mio avviso occorre tanta, tanta passione per questo sport, e aver giocato a bocce. La nostra non è come altre discipline , tipo il calcio, dove chiunque attraverso la televisione capisce cos'è un fuorigico, un rigore, eccetera. Nelle bocce, per comprendere certe regole, devi averle praticate. Addirittura è già difficile passare dal volo alla raffa. Secondo, devi affrontare il ruolo seriamente ed avere personalità. Il giocatore se ne accorge subito. Anche se ti capita di commettere un errore, se mostri personalità sei rispettato. Ritengo che l'arbitro perfetto sia quello di cui non si parla. Terzo, occorre cercare di invogliare coloro che si apprestano a sostenere i corsi perchè anche da arbitri si possono ottenere grosse soddisfazioni. Ovviamente poi intervengono altri fattori personali. Io ad esempio, essendo libero professionista ( rappresentante di impianti idraulici, ndr ) avevo l'opportunità, specie in occasione di manifestazioni internazionali di stare fuori anche una settimana. E in famiglia, sia mia moglie Rosalia che mio figlio Daniel, non hanno mai interferito in questa mia passionaccia“.