Il gioco delle bocce in passato non ha mai avuto vita facile. Per secoli re, papi e imperatori lo hanno proibito. Carlo IV Il Bello, sovrano di Francia, lo mise al bando nel 1319 perché “… stornava il popolo da esercizi più convenienti alla difesa del reame quali il tiro con l’arco e la balestra …”. Era bandito dalle autorità perché considerato gioco d’azzardo ed un pericolo per la pubblica incolumità. La magistratura non andava per il sottile. Con le bocce la bilancia della Dea Bendata non era mai in equilibrio. La passione costava cara.
PALLOTTA IN TESTA - A Perugia, nel XVI secolo, il gioco delle pallotte, così si chiamavano allora, era vietato dagli Statuti perugini fin dal 1342. Proibito assolutamente giocare “… dentro dela parte dela cità tanto vecchia quanto nova, ne anco ne le vie per le quali se va al Monasterio de Sancta Maria de Monteluce…”. Nel gennaio 1555 Alexander Nicolai Bernabei de Perusio non resiste alla tentazione di farsi una partita. E’bravo, sta vincendo ma, preso dall’euforia, durante un tiro a volo gli scappa una boccia. Arriva in testa ad un certo Tabarrino che passava di lì. Un rigolo di sangue. Urla, baruffa. Arriva un gendarme. Denuncia. Tutti davanti al giudice. Pochi giorni dopo la sentenza “Contra ludentes cum pallotta”. Al bocciofilo, come previsto, va male. “… Alexander Nicolai Bernabei de Perusio ludendi ad pilam ligneam, vulgo dicitur alla pallotta, trahens dictam pilam et forte et fortunam casualiter cecidit in capite Bernardini Jacobi, alia Tabarrino de Castro Vicolo. Parva scornicatura et sanguinis effusione”. Colpevole. La pena. “… 10 libre de denarj daplicare de facto per li tre quarti per li fanti che stanno ala guardia dela cictà et per laltro al oficiale che ne farà la executione”.
CLASS ACTION - Sentenze come questa ne troviamo a migliaia negli archivi comunali dei secoli scorsi. Ma ci fu un’eccezione. Probabilmente la prima. Nel 1826 ad Asti i contadini, grandi appassionati del gioco, la spuntarono con una “class action”. C’era stata una denuncia contro un gruppo di abitanti di Rocca d’Arazzo, nell’Astigiano, che avevano “offeso” i conti d’Osasco, una antica e potente famiglia del patriziato piemontese. Il motivo? “… si fecero lecito d’introdurre nella contrada in cui essi (i conti) sono possessori di due case, il gioco delle rotole, ossia delle bocce, senza alcun menomo titolo od autorizzazione”. I bocciofili non si fecero intimorire. Ben decisi a difendere la loro libertà di gioco, il loro unico svago, raccolsero centinaia di firme e, dopo una tormentata vicenda giudiziaria durata otto mesi, ottennero soddisfazione. L’intendente di Asti, chiamato a dirimere la singolare controversia, diede ragione ai contadini in quanto “… il gioco delle bocce non viola la proprietà, né rischia di togliere la vita agli incauti passanti”.
Nell foto, David Teniers il Giovane (Contadini che giocano a bocce, 1672)